Rifiuti urbani: quali sono e come distinguerli

RIFIUTI URBANI E NON SOLO: UN PROBLEMA O UNA RISORSA?

Stando al rapporto che l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) redige annualmente, si riscontra in Italia una nuova tendenza: da un lato una maggiore partecipazione dei cittadini italiani all’educazione ambientale con relativa crescita della raccolta differenziata, dall’altro una minore produzione di scarti rispetto al passato.

L’Edizione 2021, che fornisce dati aggiornati sulla produzione, raccolta differenziata, gestione dei rifiuti urbani e rifiuti di imballaggio (compreso l’import/export su base nazionale, regionale e provinciale), rivela infatti come nel 2020 la produzione nazionale di rifiuti urbani sia stata pari a 28,9 milioni di tonnellate, ben il 3,6% in meno rispetto al 2019.

E’ probabile che il dato migliorativo sopra riportato sia condizionato dalla pandemia e dalle relative chiusure di molte attività, purtroppo come noto il problema dei rifiuti esiste e persiste (l’attualissima emergenza rifiuti a Roma ne è un chiaro esempio). La causa è da farsi risalire come sempre ai nostri modelli di consumo e di produzione poco sostenibili, strettamente legati alla quantità di rifiuti che generiamo quotidianamente.

Rimane, pertanto, il solito quesito, ovvero se sia possibile invertire la rotta cambiando il nostro modo di produrre e di consumare così da generare meno rifiuti urbani e al contempo utilizzarli come risorse anziché come scarti.

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CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI: I RIFIUTI URBANI

Non tutti i rifiuti però sono uguali. Possono essere infatti classificati in base all’origine (rifiuti urbani e rifiuti speciali) e in base alle loro caratteristiche di pericolosità (rifiuti pericolosi, rifiuti non pericolosi).

Una vera e propria definizione giuridica di “rifiuto” viene data dall’art.183 del D.Lgs. 152/2006 (il cosiddetto “Testo unico ambientale”): “Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.

L’atto di “disfarsi”, in questo caso, equivale ad avviare un oggetto o sostanza ad operazioni di smaltimento o di recupero;pertanto va inteso indipendentemente dal fatto che il bene possa potenzialmente essere oggetto di riutilizzo, diretto o previo intervento manipolativo.

Tuttavia, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 116/2020 in materia di rifiuti sono state apportate modifiche sostanziali al Codice Ambientale (D.Lgs. 152/2006) relative alla classificazione dei rifiuti, in particolare alle definizioni di rifiuto urbano e rifiuto speciale che sono state uniformate alle definizioni comunitarie.

Tale decreto recepisce le direttive europee su rifiuti,(Direttiva 2018/851/UE)  imballaggi e rifiuti da imballaggio (Direttiva 2018/852/UE) e fa parte del cosiddetto “Pacchetto Economia Circolare*”; esso introduce importanti novità che hanno l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei prodotti attualmente sul mercato ed incentivare la produzione di articoli dal ciclo di vita più lungo e sostenibile.

Una nuova definizione di rifiuti urbani

Il comma 8 dell’art. 1 del Dlgs 116/2020, che modifica l’art. 183 del D.Lgs. 152/2006, definisce così i “rifiuti urbani”:

  1. rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;
  2. rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies;
  3. rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti;
  4. rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;
  5. rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;
  6. rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4 e 5.

In base a questa nuova definizione, quindi, viene meno il concetto di “assimilazione” di taluni rifiuti speciali, che diventano urbani per legge proprio perché vengono inclusi persino i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti anche da utenze non domestiche, tra cui: musei, biblioteche, scuole, ospedali, supermercati, alberghi, ristoranti e bar, banche, farmacie, negozi, tabaccai, autofficine, cinema, teatri, discoteche.

Da sottolineare, però, che i rifiuti urbani escludono tutti quei rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione.

GERARCHIA DEI RIFIUTI: CHE COS’È E COME FUNZIONA