I PFAS in Italia: dalle acque di falda ai percolati di discarica

PERCHÉ LA PRESENZA DI PFAS PREOCCUPA 

La tematica riguardante le sostanze per e poli-fluorurate ha assunto negli ultimi anni una maggiore rilevanza nazionale e ciò ha portato, da parte di Università ed Enti Pubblici, alla conduzione di diversi studi ed indagini sul territorio italiano riguardanti le acque di falda, e dunque il problema sanitario strettamente legato alle acque potabili destinate al consumo umano.

A destare massima allerta e preoccupazione sono, come ormai noto, le caratteristiche chimico-fisiche dei PFAS – tali da rendere questi composti estremamente resistenti alla degradazione – e la loro diffusione capillare è constatata in tutto il mondo.

Sul territorio nazionale il tema è particolarmente sentito nella Regione Veneto poiché il problema dei PFAS, legato in buona parte alle passate lavorazioni di tessuti e cuoio, è concentrato nelle falde acquifere regionali in maggior misura rispetto ad altre regioni d’Italia.

LA DIFFUSIONE DEI PFAS IN ITALIA

Nel 2006 il Progetto Europeo PERFORCE ha avviato una prima indagine per stabilire la presenza di perfluoroderivati nelle acque e sedimenti dei maggiori fiumi europei; da questi studi è risultato che il fiume Po presenta le concentrazioni massime di acido perfluoroottanoico (PFOA) tra i fiumi europei.

Constatata l’evidenza di una situazione di potenziale pericolo ecologico e sanitario nel fiume Po, nel 2011 si è stipulata una convenzione tra il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l’Istituto di Ricerca sulle Acque CNR con lo scopo di realizzare uno studio più approfondito sul rischio ambientale e sanitario associato alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nel bacino del Po e nei principali bacini italiani.

Nel corso delle campagne di misura sono stati effettuati dei test di monitoraggio in corpi idrici superficiali e reflui industriali e di depurazione del reticolo idrografico della provincia di Vicenza, in particolare del Distretto Industriale di Valdagno e Valle del Chiampo dove è localizzato il più importante distretto tessile e conciario italiano e lo stabilimento di fluorocomposti della Miteni SpA.

Questo progetto, terminato nel 2013, non solo ha confermato una presenza diffusa e critica dei PFAS nei corsi d’acqua italiani, ma ha anche rappresentato il primo studio completo sulla distribuzione e le sorgenti dei composti perfluorurati nei principali bacini italiani e sugli eventuali rischi connessi alla loro presenza.

PFAS E PERCOLATI DI DISCARICA

Anche se gli studi e le indagini finora descritti sono stati effettuati solo sulle acque italiane dei bacini idrici, ciò non significa che il problema non sia presente altrove, anzi, a destare maggiore preoccupazione è soprattutto la problematica legata ai percolati di discarica.

Come noto, in una discarica si produce il percolato per effetto della degradazione dei rifiuti, soggetti a reazioni chimiche e dunque a rilasciare i PFAS nell’ambiente circostante.

Nonostante i PFOS e i PFOA siano stati eliminati dalle produzioni, di fatto si tratta di sostanze che sono destinate a rimanere per decenni in quanto la gestione delle discariche “post mortem” è stata fissata per legge a circa 30 anni. A questo si aggiunge anche la grande problematica relativa ai fanghi, perché negli impianti di depurazione in cui vengono trattati i percolati di discarica i PFAS si accumulano anche nei fanghi, con le gravi conseguenze che ne derivano.

Con l’emanazione delle BAT europee* nel 2018 – che hanno introdotto per la prima volta il monitoraggio di PFOA e PFOS nelle acque di scarico – e di alcuni singoli decreti sul territorio italiano, si è finalmente giunti a focalizzare il dibattito odierno non solo su acque potabili, di sottosuolo e superficiali, ma anche su acque di scarico, rifiuti industriali e percolati di discarica, nonostante l’assenza di una normativa nazionale.

Ad oggi, infatti, non si conoscono normative nazionali o regionali che stabiliscano concentrazioni limite per questi composti, sia sui percolati di discarica che sui rifiuti in generale; nonostante la volontà da parte del Ministero ed Enti Pubblici di porre limiti nazionali allo scarico, risulta piuttosto complesso definire delle linee guida generali considerato l’enorme numero di composti appartenenti alla famiglia dei PFAS. Come risulta altresì complesso trovare soluzioni ottimali che riguardino la trattabilità dei PFAS nei percolati di discarica, motivo per cui Erica nel 2017 ha deciso di intraprendere un percorso di ricerca con l’obiettivo di identificare la tecnologia più adeguata, partendo da indagini bibliografiche, test di laboratorio, analisi chimiche ed arrivando a concretizzare un impianto pilota di taglio industriale con cui ha condotto sperimentazioni in impianti di depurazione partner.

LEGGI LA TRATTABILITÀ DI REFLUI E PERCOLATI CONTENENTI PFAS

*DECISIONE DI ESECUZIONE (UE) 2018/1147 DELLA COMMISSIONE del 10 agosto 2018 che stabilisce le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili –BAT- per il trattamento dei rifiuti, ai sensi della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.

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