Inquinanti emergenti: i PFAS

I PFAS nell’ambiente

Le sostanze perfluoroalchiliche, comunemente conosciute anche con l’acronimo PFAS (Per and Poly-Fluorinated Alkyl Substances) sono composti chimici estremamente resistenti alla degradazione e sono presenti in molte matrici ambientali in tutto il mondo. A differenza di molti inquinanti organici persistenti e bio-accumulabili, i PFAS sono parzialmente solubili in acqua e sono quindi comunemente presenti in tracce nelle acque potabili, costituendo così un serio problema non solo per l’ambiente ma anche per la salute umana.

Cosa sono i PFAS

I composti perfluorurati costituiscono un gruppo di composti organici formati da una catena alchilica idrofobica di lunghezza variabile da 4 a 16 atomi di carbonio, completamente fluorurata (in quanto tutti gli atomi di idrogeno sono sostituiti da atomi di fluoro), e da un gruppo idrofilico, generalmente un acido carbossilico o solfonico.

I composti più noti sono l’acido perfluorottano sulfonato (PFOS) e l’acido perfluorottanoico (PFOA).

A seguito delle restrizioni e divieti nella produzione delle sostanze perfluorurate tradizionali, in particolare PFOA e PFOS, a partire dagli anni 2000 sono state introdotte sul mercato delle sostanze sostitutive perfluorurate a catena corta, ovvero composti con catene carboniose fino a 5 atomi come i PFBA e i PFBS che, pur avendo una persistenza ambientale simile ai loro analoghi a catena lunga, hanno un potenziale di bioaccumulo molto minore negli organismi animali e nell’uomo.

La struttura chimica dei PFAS, ed in particolar modo i numerosi legami covalenti carbonio-fluoro caratterizzati da una forte energia di legame, conferiscono notevole stabilità ed inerzia termica, chimica e biologica a questi composti, che sono inoltre dotati di proprietà idro e oleofobiche.

Grazie a queste caratteristiche chimico-fisiche, tali molecole sono state utilizzate in una vasta gamma di applicazioni industriali e commerciali fin dagli anni ’50; proprio in coincidenza con l’inizio del boom economico, infatti, furono introdotte queste nuove sostanze nella filiera di concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti, nella produzione di contenitori di cibo, carta e cartone per uso alimentare (carta forno), per rivestire superfici antiaderenti, traspiranti ed idrorepellenti (come ad esempio le padelle), nella produzione di abbigliamento tecnico, in particolare per le loro caratteristiche oleo e idrorepellenti, ossia di impermeabilizzazione, ma anche nella produzione di stoffe per sedie e divani, mascara, pavimenti acrilici, applicazioni biomediche, tinture, lubrificanti, membrane, schiume antincendio, detergenti, cere per pavimenti, pellicole fotografiche ecc…

Potenziali rischi per la salute

I PFAS sono ritenuti contaminanti emergenti dell’ecosistema a causa della loro estensiva produzione, e conseguente utilizzo massiccio, e delle loro caratteristiche chimiche che li rendono resistenti ai processi di degradazione termica, biodegradazione, idrolisi, metabolizzazione, e dunque altamente persistenti nell’ambiente e negli organismi viventi.

Il problema, come sempre, riguarda le metodologie più efficaci su come smaltire queste sostanze altamente tossiche. Se smaltiti illegalmente o non correttamente nell’ambiente, infatti, i PFAS possono penetrare con facilità nelle falde acquifere e attraverso l’acqua possono raggiungere terreni, campi e prodotti agricoli, nonché alimenti.

A tal proposito, alte concentrazioni di PFAS sono state rilevate a livello globale in una vasta gamma di campioni ambientali tra cui l’acqua, il suolo, la fauna selvatica, gli esseri umani e la polvere domestica.

Gli effetti sulla salute di queste sostanze sono ancora sotto indagine nonostante gli ingenti investimenti economici impiegati per studiare tale aspetto. Pare però evidente esserci una correlazione importante tra l’esposizione umana ai PFAS e lo sviluppo di diverse patologie, soprattutto in popolazioni con acqua potabile inquinata da questi composti e in lavoratori esposti. In particolare, si ritiene che i PFAS intervengano sul sistema endocrino nel metabolismo dei grassi, compromettendo crescita e fertilità, e che siano sostanze cancerogene i cui effetti però non sono immediati, ma sempre legati ad esposizioni di lunga durata.

Diversi studi, infine, hanno dimostrato che i PFAS, una volta nell’organismo, hanno un’emivita piuttosto lunga, andandosi ad accumulare preferibilmente nel sangue e nel fegato e possono provocare epatossicità, immunotossicità, neurotossicità, alterazioni ormonali nella riproduzione e nello sviluppo.

Condividi post